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Pubblicato il 20/10/2025

PUO’ LA CONCESSIONE DI UN’INTERVISTA AVERE CONSEGUENZE PREGIUDIZIEVOLI SULLA PROSECUZIONE DEL REGIME DI SEMILIBERTA’?

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Esecuzione penale

La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 32915 del 6 ottobre 2025, avente come antefatto la nota vicenda del Delitto di Garlasco, ha respinto il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, riaffermando un’importante principio di diritto in materia di concessione della misura trattamentale della semilibertà, ossia che la valutazione sottostante la concessione della stessa deve tassativamente essere ancorata ai risultati ottenuti dal detenuto intra moenia, ossia nel proficuo completamento del proprio programma trattamentale.

Di conseguenza non è censurabile la condotta dello Stasi che, una volta uscito dalla Casa Circondariale di Bollate, aveva reso un’intervista al noto programma nazionale “Le Iene”, in quanto non è di per sé ostativa alla concessione o al mantenimento di benefici penitenziari.

Infine, con la sentenza in oggetto, la Suprema Corte invita a ragionare su una tematica attuale e importante, soprattutto in casi così mediatici come è stata ed è la vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, ossia se sia giusto che venga concessa ai condannati in via definitiva per omicidio, la possibilità, durante l’espiazione della pena, di rendere interviste.

PUO’ LA CONCESSIONE DI UN’INTERVISTA AVERE CONSEGUENZE PREGIUDIZIEVOLI SULLA PROSECUZIONE DEL REGIME DI SEMILIBERTA’?

La vicenda.

Gli eventi oggetto di questa pronuncia prendono avvio dalla concessione ad Alberto Stasi, condannato nel 2015 alla pena di anni 16 di reclusione, da parte del Tribunale di Sorveglianza di Milano nel mese di aprile del 2025, della misura trattamentale ex art 50 L. 354/1975 della semilibertà “in ragione dei progressi da lui compiuti nel corso del trattamento, esistendo le condizioni per il graduale reinserimento lavorativo dell’interessato nella società”.

In particolare, il Tribunale motivava la concessione mettendo in luce il fatto che “il detenuto avesse mantenuto un comportamento sempre corretto e aderente alle attività trattamentali, essendo impegnato in un’occupazione lavorativa”, che gli permetteva di far fronte anche alle obbligazioni risarcitorie nei confronti delle parti civili. Ancora, dal 2023 era stato ammesso al lavoro esterno e l’anno successivo aveva maturato i primi permessi premio.

In definitiva, era opinione del Tribunale di Sorveglianza che “il percorso di risocializzazione del detenuto era quindi proseguito in maniera regolare, avendo il medesimo mostrato costantemente un atteggiamento collaborativo […] erano quindi maturi i tempi di un ulteriore avanzamento trattamentale, in grado di assecondare la finalità rieducativa dell’espiazione in corso”.

Contro tale ordinanza faceva ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, lamentando la violazione dei presupposti applicativi ex art 50 L. 354/1975 della misura della semilibertà. In particolare, addebitava al Tribunale di Sorveglianza di aver omesso o inadeguatamente valutato l’infrazione commessa dallo Stasi che, in concomitanza con la concessione di un permesso premio nel marzo 2025, aveva rilasciato, senza autorizzazione, un’intervista al noto programma televisivo “Le Iene”. La concessione, quindi, della semi libertà sarebbe censurabile nella misura in cui ha “aprioristicamente escluso possibili ricadute dell’intervista sul percorso trattamentale dell’interessato”, consistenti nella volontà dello stesso di inserirsi nel dibattito mediatico creatosi in quel periodo a seguito della riapertura delle indagini sui fatti di Garlasco.

 

L’articolo 50 L. 354/1975.

Prima di analizzare il contributo apportato dagli ermellini in merito a questa delicata vicenda, è importante analizzare le prescrizioni normative contenute nella fattispecie normativa ex art 50 L. 354/1975.

Con il termine “semilibertà” ci si riferisce alla speciale modalità di esecuzione della pena consistente nella decarcerazione parziale del condannato che viene ammesso a svolgere fuori dal carcere, per una parte della giornata, attività lavorativa o di altro genere. Dal punto di vista applicativo, per poter accedere a questa misura premiale, è necessario rispettare due requisiti: uno relativo all’avvenuta espiazione di una quota di pena che, nel caso di Alberto Stasi consisteva nei 2/3, stante la condanna per omicidio (reato rientrante nelle fattispecie ex art 4, c. 1 ter, L. 354/1975); e, il secondo, relativo al parere positivo espresso dal Tribunale sulla valutazione dell’Equipe all’interno del carcere in merito al percorso trattamentale eseguito.

  

La pronuncia della Cassazione

Nel valutare la fondatezza del ricorso, la Cassazione, riafferma due concetti fondamentali in materia di esecuzione di misure trattamentali alternative alla detenzione in carcere. In particolare, il collegio ricorda che in queste materie “il giudice di sorveglianza deve fondare le sue statuizioni, espressione di un giudizio prognostico, sui risultati del trattamento individualizzato […]la relativa motivazione deve dimostrare, con preciso riferimento alla fattispecie concreta, l’avvenuta considerazione degli elementi previsti dalla legge, che hanno giustificato l’accoglimento o il rigetto dell’istanza”.

Ciò implica che, per quanto concerne la misura della semilibertà, il giudice di sorveglianza deve svolgere solo il duplice controllo dei requisiti richiesti dalla norma, ossia “l’avvenuta espiazione della necessaria quota parte di pena e una prognosi favorevole, proprio in relazione ai progressi compiuti in ambito trattamentale, in ordine alla possibilità di un suo graduale reinserimento nella società”.

È opinione, poi, della Corte che solo applicando queste direttrici sia possibile rispettare compiutamente la normativa costituzionale ex art 27, c. 3, Cost. (si veda in materia anche Corte Cost. n.158/2001) facente riferimento alla funzione rieducativa della pena. Rispettate, infatti, queste condizioni la semilibertà “diviene essa stessa strumento del trattamento individualizzato, rispondendo alle finalità di emenda mediante la più avanzata prospettiva di risocializzazione che è in grado di offrire, extra moenia, il lavoro (che è l’attività che di regola la sostanzia), elemento cardine del moderno sistema rieducativo penitenziario)”.

Nello specifico, quindi, il Tribunale di Sorveglianza ha, nel proprio giudizio prognostico, correttamente valutato anche la concessione dell’intervista, ritenendo “che il suo rilascio non violasse le prescrizioni al cui rispetto la fruizione del permesso premio era vincolata e non rappresentasse fattore tale da inficiare il proficuo percorso trattamentale in atto.

 

Conclusioni.

Tralasciando i rilievi meramente tecnici, questa pronuncia è interessante nella misura in cui richiama gli addetti ai lavori, e non, a interrogarsi su un tema estremamente spinoso attinente alla gestione dei c.d. “fatti mediatici”, tra i quali rientra a pieno titolo la possibilità concessa a condannati per vicende che hanno avuto un grande clamore, di rendere interviste. La Corte, motivando il proprio rigetto del ricorso proposto dal Procuratore Generale, rifiuta l’automatismo secondo il quale, ogni esposizione mediatica implichi la volontà di strumentalizzare la concessione di un permesso al fine di ottenere una visibilità mediatica assai diffusa.

Si concorda, quindi, con quanti sostengono che i Tribunali di Sorveglianza dovrebbero inserire, nelle ordinanze che dispongono misure alternative alla detenzione quali la semilibertà, prescrizioni più stringenti e chiare in materia di comunicazione con i media al fine di tutelare tutte le parti coinvolte, compresi i parenti delle vittime.

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