Pubblicato il 06/02/2023
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Riforma del processo penale
Con sentenza del 18 gennaio 2023 l’Ufficio Gip del
Tribunale di Milano ha applicato la sanzione sostitutiva della detenzione
domiciliare all’esito di giudizio abbreviato ove l’imputata veniva condannata
per il reato di atti persecutori alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Prime
applicazioni delle sanzioni sostitutive introdotte dalla riforma Cartabia: uno
spunto per comprendere anche eventuali criticità che devono essere valutate.
Abstract: Con sentenza del 18 gennaio 2023 l’Ufficio Gip del Tribunale di Milano
ha applicato la sanzione sostitutiva della detenzione domiciliare all’esito di
giudizio abbreviato ove l’imputata veniva condannata per il reato di atti
persecutori alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Il caso:
Si tratta sicuramente di una pronuncia importante
poiché è una delle prime che applica una delle sanzioni sostitutive
recentemente introdotte, imponendo altresì all’imputata una volta divenuta
irrevocabile la sentenza le seguenti prescrizioni: di prendere contatto con l’UEPE proseguendo il
programma di trattamento predisposto e seguendone le indicazioni; di poter
lasciare la propria abitazione dalle 10 alle 19 di ogni giorno solo al fine
soddisfare le esigenze di vita e di assistenza dell’anziana madre; di tenere
una condotta di vita conforme alle regole di civile convivenza; di non
frequentare pregiudicati; di agevolare i controlli delle Forze dell’Ordine al
proprio domicilio; di consegnare il proprio passaporto e di non avvicinarsi
alla persona offesa e ai luoghi dalla stessa frequentati.
La sostituzione della pena detentiva è stata disposta
all’esito di un giudizio abbreviato mentre, in passato, le sanzioni previgenti
che avevano avuto una scarsa applicazione, erano disposte quasi esclusivamente
in ipotesi di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. ed ha avuto luogo
rispetto ad un reato, quello di atti persecutori certamente grave e di grande
impatto sociale.
Va evidenziato che, in caso di condanna per il reato
previsto dall’art. 612 bis c.p., la concessione della pena sospesa è sempre
subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero e che,
soprattutto, non è prevista la sospensione dell’ordine di esecuzione.
Come noto, le sanzioni sostitutive della semidetenzione,
della libertà controllata e della pena pecuniaria, erano già previste dalla
Legge 689/81 ma non sono mai state applicate in maniera significativa.
La riforma Cartabia ha abrogato le sanzioni della
semidetenzione e della libertà controllata ed ha introdotto, accanto alla pena
pecuniaria, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva
ed i lavori di pubblica utilità sostitutivi aumentando anche il limite di pena
entro il quale è consentita la sostituzione delle pene detentive.
Il progetto
di traghettare le misure alternative nel giudizio di cognizione, era stato già
messo in agenda dal legislatore con il “ddl Carotti” ma già allora erano state
evidenziate delle criticità che, allo stato, sembrano analoghe a quelle oggi
prospettabili: è difficile, infatti, immaginare una qualunque alternativa ad
una pena detentiva che non si fondi su una serie di informazioni, le più ampie
possibili, sulla persona condannata, sulla sua vita precedente o successiva al
reato, secondo quanto previsto dall’art. 133 c.p. Certamente sarà fondamentale
il potenziamento degli Uffici per l’esecuzione penale esterna, le cui piante
organiche sono allo stato attuale del tutto inadeguate a coprire il fabbisogno
generato dalle misure alternative “ordinarie” e dal prepotente sviluppo della
messa alla prova. Senza investimento sul versante degli uffici di esecuzione
penale esterna – strategici per la raccolta delle informazioni oltre che per la
formulazione del regime di prescrizioni –, è prevedibile che la riforma non
conseguirà gli obiettivi previsti. In mancanza di una seria prospettiva
informativa – ottenibile anche attraverso il potenziamento applicativo di una
norma, l’art. 187 cpp, che colloca tra gli oggetti di prova anche i fatti che
si riferiscono alla determinazione della pena –, si correranno due rischi:
trasformare le pene sostitutive in gusci vuoti; applicarle soltanto sulla base
di requisiti di affidabilità – disponibilità di un’opportunità lavorativa, di
un’abitazione, di risorse familiari – che tagliano fuori la criminalità
socialmente più fragile, vale a dire proprio quella che statisticamente
commette i reati punibili con pene detentive brevi. Un rilievo specifico, sotto
quest’ultimo profilo, deve essere svolto riguardo alla detenzione domiciliare.
Questa misura, anche nella fase esecutiva della pena, è troppo spesso destinata
a rimanere mera possibilità sulla carta: non avere la disponibilità di un
alloggio, neppure del più piccolo punto di appoggio messo a disposizione da una
rete familiare o amicale, preclude la possibilità di conseguire una misura a
cui pure, sotto il profilo dei parametri normativi, si avrebbe diritto. Per
evitare la subordinazione di diritti costituzionali al godimento di una
posizione sociale di non marginalità e per far “vivere” la prescrizione della
detenzione domiciliare quale pena sostitutiva, pertanto, pare ineludibile
auspicare congrui investimenti nella costruzione di dimore sociali, nonché in
quei progetti di inclusione sociale già oggi meritoriamente attivati dalla Direzione
generale per l’esecuzione penale esterna.
Nell’attuazione
della riforma, si dovrà fare i conti con il notevole lasso temporale che di
solito intercorre tra il momento dell’applicazione della pena sostitutiva ad
opera del giudice e il momento dell’esecuzione della stessa una volta che la
sentenza sarà divenuta irrevocabile. Il rischio è quello che le condizioni che
hanno giustificato la pena sostitutiva – sussistenza di un domicilio idoneo per
la detenzione domiciliare o, nel caso di semilibertà, disponibilità di
«attività lavorative, istruttive, o comunque utili al reinserimento sociale»
(art. 48 ord. penit.) – evaporino nel corso del giudizio e siano scomparse al
momento dell’esecuzione. Analoghe preoccupazioni, sia pure in tono minore,
valgono per i lavori di pubblica utilità.
In questo
senso, l’eliminazione dell’affidamento in prova al servizio sociale dal novero
delle misure anticipabili in sede di cognizione gioca un ruolo decisivo:
trattandosi dell’unica misura che non comporta meccanismi di completa
privazione della libertà personale, infatti, avrebbe sicuramente indotto una
maggior deterrenza all’impugnazione. In questo stesso ordine di ragionamenti
pare ancora più arrendevole la scelta di eliminare dallo schema definitivo di
delega la previsione originaria di estendere l’accordo delle parti, in caso di
patteggiamento, anche alle misure alternative e, tra queste, all’affidamento in
prova.
Ovviamente,
al netto delle perplessità sopra accennate, non ci resta che verificare le
applicazioni pratiche delle sanzioni sostitutive e tornare sull’argomento tra
qualche mese.