Pubblicato il 19/10/2022
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Riforma del processo penale
Con la pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022, suppl. ord. n. 38, del D.Lgs.
10 ottobre 2022 n. 150 attuativo della delega per la riforma del processo
penale di cui alla L. 134/2021, termina il lungo percorso della riforma della
giustizia penale che al Titolo IV del decreto porta con sé, tra le novità
introdotte, una disciplina organica della giustizia riparativa.
Introduzione.
Con la
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022 del D.Lgs. 10
ottobre 2022 n. 150 attuativo della delega per la riforma del processo penale
di cui alla L. n. 134/2021 (c.d. “riforma Cartabia”) è stata definitivamente
approvata una disciplina organica della giustizia riparativa
che, unitamente al sistema sanzionatorio e al processo penale, rappresenta il
“terzo pilastro” su cui poggia la riforma.
Quest’ultima, si
è posta infatti come obiettivo (art. 1 comma 18 lett. a) L. 134/2021)
l’introduzione nel sistema penale di una disciplina puntuale e organica dello
strumento (mutuato da altre nazioni) della giustizia riparativa, da sempre contrapposto a
quello della giustizia punitiva “tradizionale” e impiegato nel nostro ordinamento
solo in forma sperimentale, per appianare per quanto possibile, il contrasto
tra il soggetto indicato come autore dell’offesa e la vittima del reato, attraverso
la valorizzazione dell’ascolto e del riconoscimento reciproco.
La giustizia riparativa.
Prima ancora che come strumento giuridico, la giustizia riparativa
nasce come fatto sociale al di fuori del processo penale che sottende una
concezione triangolare nel sistema punitivo penale: oltre all’autore del fatto
di reato, non vi è più solo lo Stato che irroga una sanzione a titolo di
punizione per l’illecito penale commesso, ma entra in gioco anche la vittima,
spesso figura di mero sfondo all’interno del processo penale.
Il paradigma della giustizia riparativa, aprendo un dialogo su base
volontaria tra autore e vittima del reato, ne determina una loro partecipazione
attiva alla risoluzione degli effetti “non giuridici” che l’illecito penale
necessariamente porta con sé.
Tale forma di ricomposizione del conflitto si muove quindi su un piano del tutto parallelo e complementare
rispetto alla tradizionale giustizia punitiva.
La giustizia riparativa nella riforma
Cartabia:
Di fatto il decreto attuativo n. 150/2022 nulla introduce ex novo, se consideriamo che, nel nostro ordinamento, vi
erano già riferimenti alla giustizia riparativa nel codice e in alcune leggi speciali,
dove si poteva trovare un timido riferimento c.d. restorative
justice (si pensi al D.lgs. 231/01 che ha incentivato il ritorno
alla legalità, attraverso l’adozione di modelli organizzativi rimediali e
condotte riparative, o all’oblazione nelle contravvenzioni, all’indulto
tributario, alla sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p.,
all’indulto urbanistico o alle sanatorie).
Si trattava solamente di regolamentarne gli effetti giuridici nel
processo penale e darle una vera e propria istituzionalizzazione, mediante la
raccolta e la sintetizzazione delle molteplici indicazioni internazionali,
vincolanti e di c.d. soft law (le tre più importanti: la Risoluzione ONU 12/2002, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2018
e la Direttiva vittime UE 29/2012,
queste due ultime richiamate nella stessa legge delega).
Ciò trova senza alcun dubbio fondamento nel principio solidaristico di
portata costituzionale (art. 2 Cost.) che indica tra i compiti dello Stato
anche quello di promuovere la parificazione sociale, chiedendo a tutti i
consociati l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà: il pacificare i
conflitti rientra sicuramente tra questi doveri.
La riforma permette, quindi, alla vittima e
all’autore del reato di partecipare attivamente, se entrambi vi consentono liberamente, alla risoluzione delle
questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale (art. 42 lett. a) D.Lgs. 150/2022).
Il ruolo del Giudice muta: non si limita ad assolvere o condannare ma,
seppur restando organo neutrale, riconosce pari dignità ai protagonisti del
conflitto e, solo se positivi, raccoglierà gli effetti della riparazione.
In questa ottica vanno anche letti i tentativi nel decreto di collegare
all’esito riparativo raggiunto alcuni effetti sulla risposta sanzionatoria (si
vedano gli interventi sulle circostanze del reato ex art.
62 c.p., sulla determinazione della pena ex
art. 133 c.p., sulla sospensione condizionale ex
art. 163 c.p., sulla remissione di querela ex art.
152 c.p.).
Vengono infine creati in tutti i distretti di Corte d’appello dei
Centri di Giustizia Riparativa che dovrebbe consentire una migliore gestione a
livello processuale dell’esito dei percorsi riparativi.
Conclusioni.
Nel nostro ordinamento la giustizia riparativa trova una sua puntuale
istituzionalizzazione con il decreto attuativo n. 150/2022 della L. 134/2021
che consente di allineare l’Italia a ordinamenti giuridici che hanno già da tempo
optato in tal senso (ad es. il Criminal Justice (Victims of
Crime) Act 2017 irlandese che, in particolare alla Sezione 26
prevede una norma generale lineare e completa sulla giustizia riparativa).
Alla base di tale scelta vi è senza alcun dubbio una mutata percezione
sociale del concetto di “giustizia” percepita, quella “tradizionale” (se di
“tradizionale” si può parlare), come troppo lontana dalle reali esigenze della
persona offesa.
La condanna, così come il risarcimento del danno, è spesso sentita
inappagante dalla vittima del reato che, nonostante una pronuncia favorevole,
non sente di aver ricevuta una riparazione a quanto subito.
La giustizia “punitiva” quasi mai appiana il conflitto ma, al
contrario, spesso lo alimenta. Il compito della giustizia riparativa è quello di
orientare la giustizia alla vittima:
solo la persona che ha subito un’aggressione dei propri interessi è in grado di
sapere ciò che per essa stessa significa riparazione e, spesso, la condanna
dell’autore del reato non è la soluzione unica.
Ciò ovviamente senza retrocedere a un modello di giustizia fondata
sulla vendetta privata perché il monopolio statutale alla punizione permane.
Infatti, come si è detto pocanzi, la giustizia riparativa è un paradigma
complementare rispetto a quello tradizionale della punizione del colpevole
mediante l’irrogazione di sanzioni penali.
Dal versante opposto, quello dell’autore di un reato, si vuole in
questa sede, porre l’accento su una considerazione.
La giustizia riparativa non sottrae il reo allo sguardo delle vittime.
Chi decide di aderire a tale forma di composizione del conflitto (e si
noti bene non solo conflitto “giuridico” ma anche e soprattutto interiore della
vittima e dell’autore del reato), avrà sempre modo di capire, percepire e
ricordare il disvalore del fatto che ha commesso.
Ed è qui, a nostro parere, che emerge la continuità tra la giustizia
riparativa e quella chiamata “tradizionale-punitiva” perché affiora in tutta la
sua potenza il fine della rieducazione della pena (art. 27 Cost.), che
comprende certamente una rivalutazione in chiave critica delle condotte in
precedenza assunte (tenendo sempre in debita considerazione che il modello
riabilitativo opera o dovrebbe operare, compatibilmente con la presunzione di
innocenza, fin dalla fase cognitiva). Ed è sempre qui che emerge, secondo parte
della dottrina, anche l’aspetto controverso della riparazione, perché in
un’ottica più ampia la giustizia riparativa potrebbe far ripensare al concetto
di pena, intesa come risposta punitiva, che in concreto verrà applicata: se è
intervenuta una riparazione tendenzialmente la pena non potrà essere quella che
era originariamente, mentre rimarrebbe tale per chi rifiuta di avvalersi dei
programmi di giustizia riparativa.
A nostro parere nessuna frattura di sistema, se si considera che
l’adesione a programmi di restorative justice
avviene su base volontaria e quindi sempre e solo nell’ottica della
rieducazione della pena. Il tutto dipende, infatti, da come il soggetto decide
di interpretare il senso della punizione a lui inferta.
Dopo alcuni
incontri con detenuti che si sono offerti di narrare la loro storia, siamo
ancora più certi che l’obiettivo della rieducazione della pena muta e può
essere variamente raggiunto a seconda dell’impronta soggettiva che si vuole
dare al proprio percorso punitivo. Alcuni di loro si sono espressi altresì nel
senso di “avere tratto giovamento” dall’incontro con le persone che hanno patito
gli effetti del reato perché è stato il “guardarle negli
occhi” ad avergli fatto comprendere il totale disvalore della loro condotta.