Pubblicato il 03/10/2022
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Calunnia
Con sentenza n.
33754/2022 la Corte di Cassazione ha tracciato i confini applicativi della
causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., affermando che è esclusa la
punibilità per il reato di calunnia, qualora la falsa incriminazione altrui sia
stata l’unica strategia difensiva percorribile, in assenza di ragionevoli
alternative.
Introduzione.
Con la sentenza
n. 33754 del 13 settembre 2022, la Corte di Cassazione, restituendo la giusta
centralità al diritto di difesa, ha meglio chiarito la portata della
scriminante di cui all’art. 51 c.p..
Nel caso
sottoposto all’attenzione della Corte, il ricorrente, accusato del reato di
calunnia, era stato ritenuto responsabile di aver ingiustamente incolpato la
persona offesa con affermazioni contenute nella
comparsa di costituzione di un giudizio civile.
I Giudici di
legittimità hanno chiarito che colui il quale abbia reso una falsa
dichiarazione accusatoria, affinché possa ritenersi scriminato, dovrà
dimostrare di non aver avuto ragionevoli alternative che potessero costituire e
rappresentare una difesa utile.
L’art.
51 c.p.: la scriminate dell’esercizio di un diritto e adempimento di un dovere.
L’art. 51 c.p.
rientra tra le cause di giustificazione previste dal nostro codice penale; tali
norme descrivono situazioni eccezionali in cui un fatto che normalmente
costituirebbe reato non viene punito, in quanto l'ordinamento permette o esige
quel comportamento.
Nello specifico
nella disposizione in esame, come accade anche per la altre scriminanti disciplinate
dal nostro ordinamento (legittima difesa, stato di necessita e uso legittimo
delle armi), viene meno l'interesse punitivo dello Stato per effetto della
rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene, escludendo l'antigiuridicità
della condotta in quanto il soggetto ha agito adempiendo ad un ordine legittimo
dell'Autorità oppure ad un dovere.
La causa di
giustificazione trova il proprio fondamento nel principio di non
contraddizione, evidentemente compromesso se la norma imponesse di agire in un
certo modo e poi comminasse una sanzione per l'adempimento.
Il termine “diritto” va riferito non solo ai
diritti soggettivi, come pure sostengono alcuni autori e alcune sentenze (Cass.
9250/1982 e 5889/1996), ma, più correttamente, a qualsiasi posizione di potere
riconosciuta dall’ordinamento: diritto potestativo, facoltà, potestà, ecc.
Quanto alla
fonte del diritto, questa non è soggetta al principio di legalità, in quanto
l’articolo 51 c.p. si limita a riconoscere diritti presenti in altre branche
dell’ordinamento; e dunque il diritto può nascere anche da regolamenti,
consuetudini, contratti, atti amministrativi, o dal diritto straniero, ecc.
Unitamente
all’esercizio del diritto, la scriminante in esame disciplina altresì
l’adempimento di un dovere.
Tra le fonti
del dovere vanno sicuramente annoverate le leggi formali del Parlamento, le
leggi regionali e anche le consuetudini secundum legem, dato che le scriminanti
non seguono strettamente il principio di riserva di legge, avendo assunto una
propria autonomia concettuale.
La
sentenza n. 33754/2022 della sesta sezione della Corte di Cassazione.
Con la
recentissima pronuncia in commento, i Giudici di legittimità hanno ampliato il
novero delle possibili argomentazioni difensive, chiarendo ed individuando
quando la falsa incriminazione di un terzo rientri tra le condotte scriminate
dall’art. 51 c.p., escludendo la configurazione del reato di calunnia.
Nello
specifico, il ricorrente veniva ritenuto responsabile di aver incolpato la
persona offesa, pur sapendola innocente, con affermazioni contenute nella
comparsa di costituzione di un giudizio civile, ove non solo attestava
falsamente di averle versato la somma di € 6.173,90, ma che la persona offesa,
a fronte del pagamento sostenuto dal ricorrente, non aveva emesso alcuna
ricevuta.
Nonostante i
primi due gradi di giudizio abbiano accertato la penale responsabilità
dell’imputato in ordine al reato di calunnia, sostenendo che il ricorrente non
si sia limitato ad esercitare il proprio diritto di difesa, ma abbia fornito
ulteriori elementi esorbitanti non funzionali al predetto diritto, eccedendo
così i limiti previsti dall’art. 51 c.p., la Corte di Cassazione, nella
pronuncia in esame, ha ritenuto di non poter condividere le posizioni assunte
nei precedenti giudizi di merito.
Nello specifico,
i Giudici di legittimità hanno affermato che “il riferimento al mancato rilascio
della ricevuta costituiva una mera specificazione dell’affermazione costitutiva
della prospettazione difensiva che, implicitamente, peraltro, conteneva già, il riferimento al
mancato rilascio di una ricevuta, atteso che, diversamente, la stessa causa
civile non avrebbe avuto senso”, ed ancora “l’affermazione infondata di colpa
a carico di altri, sia essa esplicita o implicita, deve risultare in sostanza
priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito, a
prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di
ogni attività decettiva che esuli dall’enunciazione della falsa accusa
“essenziale” (Cass. pen., VI sez., n. 33754 del 13/09/2022).
Conclusioni.
La Corte di
Cassazione ha meglio chiarito l’operatività della scriminante di cui all’art.
51 c.p., affermando come, nell’esercizio del diritto di difesa, non sia
punibile la condotta di chi accusa falsamente un terzo, pur consapevole della
sua innocenza, in assenza di ragionevoli alternative che permettano di porre in
essere una difesa utile.
Nonostante la
presenza di diverse pronunce difformi (ex multis Cass. pen., sez. II, n.
14761/2017 secondo cui “l'imputato, nel corso del procedimento instaurato a
suo carico, può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui
sfavorevoli ed in tal caso l'accusa di calunnia, implicita in tale condotta,
integra un'ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae
perciò alla sfera di punibilità in applicazione della causa di giustificazione
prevista dall'art. 51 c.p.. Quando però l'imputato, travalicando il rigoroso
rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell'imputazione,
non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma
ulteriori iniziative dirette a coinvolgere altre persone - di cui pure conosce
l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un
fatto concreto, sicchè da ciò derivi la possibilità dell'inizio di una indagine
penale da parte dell'autorità, si è al di fuori del mero esercizio del diritto
di difesa e si realizzano, a carico dell'agente, tutti gli elementi costitutivi
del delitto di calunnia”), la sesta sezione si è dimostrata “coraggiosa” nell’ipotizzare una
possibile via di uscita alla falsa incriminazione altrui, che fino ad oggi, conduceva
a conseguenze infauste per colui che faceva della calunnia la propria unica
arma difensiva.
Tuttavia, nonostante
la decisione della Corte si collochi in una prospettiva di favor rispetto all’imputato, non
mancano dubbi e perplessità.
Infatti, come
si anticipava, se da un lato la prospettazione dei Giudici di legittimità
amplia le maglie, a volta fin troppo serrate, del diritto di difesa
riconosciuto all’imputato, dall’altro lato lascia un’alea di discrezionalità
che rischia, forse, di rendere troppo poco omogeneo l’esercizio dell’appena
menzionato diritto.
La mancanza di
confini netti e precisi che siano in grado di dare maggiore stabilità al
concetto di assenza di “ragionevoli alternative” che, se dimostrato, scriminerebbe
ex art. 51 c.p. la falsa
incriminazione altrui, rischia di essere controproducente per la difesa stessa,
laddove l’assenza di ragionevoli alternative venga esclusa di fronte all’esistenza,
discrezionalmente valutata dal Giudice, di una alternativa difficilmente
percorribile o non condivisibile dall’imputato.
A questo punto
sorge spontaneo domandarsi se l’imputato che sceglie per sua espressa volontà
di adottare una specifica strategia difensiva (la falsa incriminazione di un
terzo, appunto), pur esercitando il proprio diritto di difesa, rischi di subire
un procedimento penale nel caso in cui il Giudice ritenga, discrezionalmente,
che vi fossero altre e diverse strategie difensive perseguibili, seppur non
volute dalla difesa.
Questa vasta
discrezionalità lasciata in capo all’organo giudicante, potrebbe, di fatto, riconoscere
sempre meno spazio ad un libero esercizio del diritto di difesa che, sempre più
centellinato dal Giudice, diverrebbe una mera facoltà.
Non resta che attendere le successive
pronunce giurisprudenziali in tal senso.