Pubblicato il 19/09/2022
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Maltrattamenti e stalking
Con sentenza del
05/09/2022 n. 32575 la Sesta sezione della Corte di Cassazione ha dettato la linea
interpretativa in merito al discrimine tra il reato di maltrattamenti in
famiglia ed altre fattispecie penali, in particolare gli atti persecutori, commessi
dopo l’intervenuto divorzio tra gli ormai ex
coniugi.
Introduzione.
Se con il
divorzio, e non con la semplice separazione, cessano gli effetti civili del
matrimonio, a partire da tale momento le condotte violente poste in essere dall’ex coniuge non possono essere
qualificate come maltrattamenti in famiglia ai sensi dell’art. 572 c.p., bensì
tuttalpiù, qualora abbiano una rilevanza penale, come atti persecutori ai sensi
dell’art. 612 bis c.p.
È questa
infatti la linea interpretativa offerta dalla VI sezione penale della Corte di
Cassazione con la sentenza in commento nella quale ha affrontato il tema della
corretta qualificazione giuridica delle condotte poste in essere dall’imputato
in danno della ex moglie, sostenendo come il concetto di convivenza assuma
il ruolo di elemento cardine della fattispecie di cui all’art. 572 c.p.
Gli
effetti della sentenza di separazione e di divorzio: le conseguenze ai fini
della configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia.
Al fine di una
migliore comprensione della decisione della Corte di Cassazione in oggetto,
appare opportuno soffermarci, anche se sommariamente, sui diversi effetti delle
pronunce di separazione e divorzio.
La separazione (consensuale
o giudiziale) dei coniugi non comporta la c.d. “fine del matrimonio”, poiché
non fa venire meno la qualità di coniuge. La fase di separazione è piuttosto
uno stato di transizione nel corso del quale la crisi coniugale potrebbe ancora
ben risolversi con una riconciliazione e così, talvolta senza ricorrere al
giudice, i coniugi potrebbero tornare insieme o con una espressa dichiarazione oppure
assumendo un atteggiamento che sia incompatibile con la volontà di separarsi.
Nel frattempo
la sentenza sospende l’obbligo della coabitazione, di assistenza morale e
l’obbligo della fedeltà e si scioglie il regime patrimoniale dell’eventuale
comunione legale dei beni, anche se permangono il diritto di successione
ereditaria, gli obblighi di assistenza patrimoniale (mantenimento o alimenti) e
il diritto alla pensione di reversibilità.
Diversamente, con
la sentenza di divorzio, si scioglie il vincolo matrimoniale. Ne discende
quindi, a mero titolo esemplificativo, che gli ormai ex coniugi possono risposarsi,
la moglie perde il cognome del marito (anche se sono previste delle deroghe in
casi eccezionali sempre e comunque autorizzati dal giudice), può essere
disposto il c.d. assegno divorziale in favore del coniuge che non abbia redditi
propri, i coniugi perdono poi i diritti successori.
Pertanto
secondo le più recenti linee interpretative dei giudici di legittimità, posto
che ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia di
cui all’art. 572 c.p. è necessario che lo stesso si consumi all’interno del
nucleo familiare e può essere commesso soltanto da chi ricopre un ruolo nel
contesto della famiglia (cioè coniuge, genitore o figlio) e considerando che solo
con il divorzio si scioglie definitivamente il vincolo matrimoniale, l’ex marito che maltratti la ex moglie non può rispondere in
linea astratta del reato previsto e punito dall’art. 572 c.p..
La
sentenza della Corte di Cassazione n. 32575 del 05/09/2022.
Con la pronuncia
in esame, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, esaminando il ricorso
presentato dall’imputato contro la pronuncia della Corte d’appello di Torino,
con la quale era stata riconosciuta la sua responsabilità penale in merito al
reato di maltrattamenti in famiglia, ha sposato l’orientamento
giurisprudenziale per il quale l’abitualità della condotta, necessaria
ai fini della configurabilità dell’art. 572 c.p., cesserebbe con
l’intervenuta sentenza di divorzio “cui non segue la ricomposizione di
una relazione di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà
reciproche”.
Secondo i
giudici di legittimità, la coabitazione oppure l’esistenza di una
relazione intersoggettiva caratterizzata da un progetto comune di vita che
si concretizzi nella condivisione della quotidianità, è il presupposto
necessario e imprescindibile per poter configurare il reato di maltrattamento
in famiglia.
Si legge
infatti nella sentenza “in tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in
famiglia e quello di atti persecutori (art. 612-bis, c.p.), salvo il rispetto
della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis, comma 1, c.p. - che
rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga
ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie - è invece
configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista
dall'art. 612-bis, comma 2, c.p.) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito
di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua
esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la
sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua
attualità temporale” (Cass. pen., sez. VI, n. 32572/2022).
Tale
orientamento si pone infatti, nel solco di una precedente linea interpretativa
che aveva già affermato - in relazione ad una condotta tenuta dall'imputato nel
periodo successivo al divorzio - che “nel reato di maltrattamenti in
famiglia, quando la condotta è in danno del coniuge, la permanenza cessa
allorché interviene il divorzio cui non segua la ricomposizione di una
relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e
solidarietà reciproche”.
La Corte ha
quindi ritenuto fondate le doglienze dell’imputato ricorrente ed ha
conseguentemente riqualificato le condotte agite dall’imputato nell’alveo del
delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p..
I Giudici di
legittimità hanno quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente al
trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra
sezione della Corte d’appello di Torino.
Considerazioni
conclusive.
Con la sentenza
n. 32575/2022 la Corte di Cassazione, ribadendo che le condotte poste in essere
dall’imputato in danno dell’ex coniuge debbano essere qualificate, in
ragione della cessazione del vincolo matrimoniale e della correlata convivenza,
ha offerto delle linee guida per una più agevole identificazione delle
fattispecie penali che potrebbero configurarsi nella fase di divorzio e,
implicitamente, anche in quella di separazione.
Ciò non toglie
che vi possano comunque essere delle difficoltà di qualificazione giuridica per
fatti iniziati durante la convivenza e che proseguano anche dopo la cessazione
della stessa.
Infatti, se si
ritenesse che la sola relazione qualificata sussista anche in assenza di
convivenza, allora il venir meno della stessa non farebbe cessare la condotta
di maltrattamenti in famiglia. Diversamente, se si ponesse la sola convivenza quale
elemento cardine del reato di cui all’art. 572 c.p. rispetto ad altre fattispecie
penali, in astratto si potrebbero configurare due diverse ipotesi di reato (art.
572 e 612 bis c.p.) rispetto alle quali si porrebbe il problema dell’eventuale
assorbimento del reato di atti persecutori in quello di maltrattamenti in
famiglia.
Si tratta, in
ogni caso, di un discrimine, quello tra art. 572 c.p. e 612 bis c.p.,
che potrà più agevolmente essere individuato e compreso osservando in che modo,
nel caso concreto, troveranno applicazione le linee guida tracciate dai Giudici
di legittimità.
Non resta che attendere se anche le successive
pronunce della Corte andranno anch’esse nella stessa direzione della sentenza
commentata.