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Pubblicato il 30/05/2022

Il caso Cucchi: la recente pronuncia della Corte di Cassazione in materia di nesso di causalità tra le lesioni inferte e l’evento morte.

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Nesso di causalità

Caso Cucchi: come sono state valutate le concause nella determinazione del nesso di causalità nei confronti dei due militari che lo hanno percosso.

Il caso Cucchi: la recente pronuncia della Corte di Cassazione in materia di nesso di causalità tra le lesioni inferte e l’evento morte.

Introduzione.

In data 09/05/2022 la Sez. V della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18396, ha confermato la pronuncia di secondo grado con la quale i due militari che avevano percosso Stefano Cucchi durante il suo arresto erano stati condannati per omicidio preterintenzionale alla pena di anni 12 di reclusione.

Come noto, nell’ottobre 2009 Cucchi veniva tratto in arresto per cessione di sostanze stupefacenti e, condotto presso la stazione dei Carabinieri di Roma ove, in seguito al rifiuto di sottoporsi ai rilievi dattiloscopici e foto segnaletici, veniva percosso dagli operanti e infine condotto in un ospedale romano dove moriva pochi giorni dopo.

Attraverso l’appena menzionata pronuncia, gli Ermellini hanno escluso che il nesso causale sia stato interrotto dalla condotta negligente dei sanitari che, nelle ore successive all’aggressione, avevano avuto in cura il Cucchi.

Il nesso causale.

L’art. 40 c.p. è chiaro nel definire il concetto di nesso causale, prevedendo che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”.

Negli anni, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie in materia di individuazione del nesso causale tra l’azione/omissione e l’evento verificatosi.  

In particolare, la prima teoria, largamente seguita, è quella della conditio sine qua non, in base alla quale le cause concorrenti, sufficienti, da sole, a determinare l'evento, costituiscono tutte causa dello stesso, per cui, al fine di ritenere sussistente il nesso di causalità, è sufficiente che l'agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell'evento.

Tale teoria, prevalente in giurisprudenza, è andata incontro a numerose critiche per via dell'eccessiva estensione del concetto di causa e delle relative conseguenze; ad esempio, un'applicazione "pura" della teoria potrebbe comportare che l’agente responsabile del ferimento di una persona, successivamente deceduta a causa di un incidente fortuito avvenuto durante il trasporto in ospedale, debba rispondere di omicidio e non di lesioni, perché senza il ferimento la vittima non sarebbe stata trasportata dall'ambulanza e quindi non sarebbe stata coinvolta nel sinistro.

Una seconda teoria, conosciuta come quella della causalità adeguata, più moderata, sostiene, invece, che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, è necessario che il soggetto agente abbia causato l'evento con un'azione proporzionata, idonea a determinare l'effetto sulla base dei criteri di normalità valutati alla stregua della comune esperienza, ritenendo come non causati dalla condotta gli effetti straordinari o atipici.

Anche questa teoria presenta non poche criticità nella sua applicazione determinate dagli eccessivi limiti posti alla responsabilità penale, in ragione dell'esclusione della riconducibilità alla condotta dell'agente degli eventi qualificati come improbabili, anche se non eccezionali.

Una terza teoria, c.d. della causalità umana, invece, prevede che possano ricondursi alla condotta dell’agente solamente gli eventi che lo stesso può controllare grazie ai suoi poteri conoscitivi e volitivi, escludendo, pertanto, da tale ambito gli eventi eccezionali, ossia quelli che hanno minori probabilità di verificarsi.

Le concause e l’interruzione del nesso causale.

Al fine di determinare la sussistenza o meno del nesso causale, è necessaria la valutazione delle  c.d. concause, disciplinate dall’art. 41 c.p., le quali “escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento”.

Sul punto è doveroso chiarire che, non sempre la produzione dell'evento risulta connessa in modo lineare alla condotta dell’agente, potendo essere, invece, frutto di una pluralità di fattori, antecedenti, concomitanti o successivi, che possono incidere nel meccanismo causa-effetto.

In ragione di ciò, il Legislatore ha temperato l'eccessivo rigore previsto al primo comma dell'art. 41 c.p. (che esprime il principio dell'equivalenza delle cause, secondo il quale “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento), attraverso l'esclusione sancita dal secondo comma per le cause connotate da autonoma sufficienza.

Il nesso di causalità  sussistente tra la condotta che ha contribuito a provocare l'evento dannoso e il danno stesso può essere interrotto, determinando, quindi, l’esclusione della colpevolezza o della riconducibilità del fatto al soggetto in presenza, ad esempio, di forza maggiore o di caso fortuito.

In particolare, il caso fortuito indica quegli eventi assolutamente improbabili o imprevedibili, secondo la comune scienza ed esperienza, che rendono inevitabile il verificarsi del fatto illecito;  mentre per forza maggiore si intendono tutte quelle cause esterne di carattere eccezionale alle quali non è oggettivamente possibile far fronte e che comportano l’ineluttabile avverarsi dell'evento.

La sentenza n. 18396 del 09/05/2022 della Corte di Cassazione, Sez. V.

Attraverso la recentissima pronuncia, i Giudici di legittimità hanno avuto modo di meglio precisare i confini applicativi del nesso di causalità, con particolare riguardo all’ambito operativo delle concause.

Nello specifico, nel caso de quo il nesso causale non può dirsi interrotto, poiché i fatti successivamente intervenuti, e rappresentanti dal comportamento negligente dei sanitari, non hanno ingenerato «un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla condotta originaria», quanto piuttosto, unitamente alle primordiali lesioni subite dal Cucchi, hanno favorito un processo degenerativo delle condizioni di salute della vittima già in atto.

In altri termini, la Corte di Cassazione, confermando la sentenza impugnata, ha affermato che il decesso «ha costituito la concretizzazione proprio del rischio del pericolo determinato dalla condotta lesiva, negando che tali accadimenti abbiano ingenerato un rischio inedito rispetto a quello originariamente determinato dagli imputati».

Conclusioni.

Con la sopra citata sentenza, la Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla vicenda Cucchi, ha confermato l’impugnata pronuncia della Corte d’Assise d’Appello di Roma in punto di sussistenza del nesso causale tra le originarie lesioni inferte al Cucchi dai militari e l’evento morte, verificatosi pochi giorni dopo.

In particolare, i Giudici di Legittimità, attribuendo il valore di mere concause ai fatti sopravvenuti, hanno escluso, nel caso di specie, l’interruzione del nesso causale ritendo, al contrario, che la causazione inevitabile dell’evento morte sia stata solo favorita e accelerata dal comportamento negligente dei cinque medici che hanno soccorso il Cucchi, le cui posizioni sono state definite attraverso un separato procedimento penale (l’appena menzionato procedimento, che vedeva imputati i cinque sanitari per omicidio colposo, si è concluso nel 2019 con una assoluzione in appello e quattro pronunce di NDP per intervenuta prescrizione del reato).  

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