Pubblicato il 04/04/2022
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Reato di tortura
Per le violenze all'interno del Carcere di S. Maria Capua Vetere del 2020 contestato anche il reato di tortura.
Introduzione.
Con la sentenza
n. 8973/2022 la Corte di Cassazione ha meglio precisato i contorni del reato di
tortura di cui all’art. 613 bis c.p., contestato, unitamente ad altri
capi di imputazione, per i fatti avvenuti nel corso delle operazioni di
contenimento delle proteste del 06/04/2020 sollevate dai detenuti del Carcere
di S. Maria Capua Vetere.
In particolare,
i Giudici di legittimità hanno esaminato un ricorso de libertate
proposto da uno degli imputati facente parte del Corpo della Polizia Penitenziaria,
sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, nel quale la difesa lamentava
l’erronea qualificazione giuridica del reato di tortura, sia sotto il profilo
oggettivo che soggettivo.
Il
fatto.
In data
06/04/2020, nel tentativo di placare una protesta sollevatasi a seguito di un
caso di positività tra la popolazione carceraria dell’istituto di pena di S.
Maria Capua Vetere, numerosi agenti di Polizia Penitenziaria, provenienti anche
da altri istituti penitenziari, avrebbero esercitato violenza fisica e
psicologica nei confronti dei detenuti.
Nello specifico,
sarebbe stata messa in atto “una violenza cieca ai danni di detenuti che, in
piccoli gruppi o singolarmente, si muovevano in esecuzione degli ordini di
spostarsi, di inginocchiarsi, di mettersi con la faccia al muro; i detenuti,
costretti ad attraversare il c.d. "corridoio umano" (la fila di
agenti che impone ai detenuti il passaggio e nel contempo li picchia), venivano
colpiti violentemente con i m., o con calci, schiaffi e pugni; violenza che
veniva esercitata addirittura su uomini immobilizzati, o affetti da patologie
ed aiutati negli spostamenti da altri detenuti, e addirittura non deambulanti,
e perciò costretti su una sedia a rotelle. Oltre alle violenze, venivano
imposte umiliazioni degradanti - far bere l'acqua prelevata dal water, sputi,
ecc. -, che inducevano nei detenuti reazioni emotive particolarmente intense,
come il pianto, il tremore, lo svenimento, l'incontinenza urinaria” (Cass.
pen., sez. V, n. 8973/2022); inoltre, i detenuti ritenuti gli ideatori
della sommossa [sarebbero stati]
costretti senza cibo, e, per 5 giorni, senza biancheria da letto e da bagno,
senza ricambio di biancheria personale, senza possibilità di fare colloqui con
i familiari; tant'è che alcuni detenuti indossavano ancora la maglietta sporca
di sangue, e, per il freddo patito di notte, per la mancanza di coperte e di
indumenti, erano stati costretti a dormire abbracciati” (Cass. pen., sez.
V, n. 8973/2022).
Ai detenuti
rimasti in reparto, privati della loro libertà di autodeterminarsi, sarebbe
stato altresì imposto il taglio della barba, svelando così, con tale
comportamento, un chiaro intento denigratorio.
Le condotte
sopra descritte sono state ritenute dagli inquirenti idonee a integrare il
reato di tortura di cui all’art. 613 bis c.p..
Brevi
cenni sul reato di tortura.
L’art. 613 bis
c.p. tutela l'integrità fisica e psichica della persona offesa nonché la sua
libertà personale e la sua libertà di autodeterminazione.
Oltre che nel
caso di privazione della libertà personale, il reato in esame può configurarsi
anche nei confronti di chi, con violenze o minacce gravi o agendo con crudeltà, cagioni “acute
sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico” a persona affidata
alla sua custodia o in condizioni di minorata difesa.
La violenza, richiesta
dall’art. 613 bis c.p. ai fini della configurazione del delitto in esame,
può essere impropria o propria; nel primo caso, si realizza attraverso l’uso di
un qualsiasi mezzo idoneo, esclusa la minaccia, a coartare la volontà del
soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione (ad
esempio attraverso l'ipnotizzazione o la somministrazione di sostanze
stupefacenti). Per violenza propria, invece, si intende invece l'impiego di
energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo
di uno strumento.
Diverso dalla
violenza è il concetto di minaccia, intesa come la prospettazione di un male
ingiusto e grave proveniente dal soggetto minacciante.
Con il termine
crudeltà si fa, infine, riferimento ad una condotta che si traduca in
comportamenti degradanti, posti in essere al sol fine di assoggettare la
vittima alla propria volontà, senza alcuno scopo ulteriore.
La
sentenza n. 8973/2022 della Corte di Cassazione sez. V
penale sul reato di tortura.
La difesa dell’imputato,
tra i molteplici motivi di impugnazione, ha lamentato l’erronea configurazione
giuridica del reato di tortura, che non si sarebbe integrato né sotto il
profilo soggettivo né sotto il profilo dell’abitualità della condotta.
Sul punto la pronuncia
in esame ha chiarito che il delitto di cui all’art. 613 bis c.p. “è
stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo
essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli,
reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell'incolumità o della
libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento
inumano e degradante per la dignità della persona; ai fini dell'integrazione
del delitto di tortura di cui all'art. 613-bis c.p., comma 1, la locuzione "mediante
più condotte" va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati
nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo
contesto cronologico” .
Per quanto
attiene all’elemento soggettivo, “non è richiesto un dolo unitario,
consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle
condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in
volta, delle singole condotte.
Nel caso de
quo, pertanto, la Corte ha ritenuto che gli elementi emersi siano sintomatici
della piena consapevolezza da parte dell’imputato “della finalità e dei
metodi dell'operazione di pestaggio e vessazione che era stata programmata, ed
eseguita mentre lui si tratteneva nel proprio ufficio”.
Conclusioni.
Nonostante l’impegno
dimostrato non solo dal Legislatore italiano, ma anche dalle istituzioni
mondiali in punto di repressione di condotte disumane e degradanti e senza
certamente voler colpevolizzare l’intero Corpo di Polizia Penitenziaria, i cui
Agenti spesso sono oggetto di provocazioni ed aggressioni, sono ancora troppi
gli episodi di violenza, sia fisica che psicologica, posti in essere nei
confronti di detenuti.
Le sommosse del
06/04/2020 all’interno dell’istituto penitenziario di S. Maria Capua Vetere,
grazie all’enorme risonanza mediatica ottenuta, hanno riportato a galla una
piaga, troppo spesso taciuta, che continua ad affliggere alcune realtà
carcerarie.
Nella speranza
che episodi di tale portata possano essere solo un triste e vergognoso ricordo,
vale la pena riportare in pochissime righe il punto di vista di un detenuto del
Carcere di S. Maria Capua Vetere coinvolto nelle proteste di aprile 2020 che, raccontando
quanto accaduto ad un familiare, ha affermato che: "non possiamo
parlare, non possiamo scrivere, non possiamo fare nulla, ci hanno tolto tutti i
diritti, non esistiamo più, non siamo più detenuti ma prigionieri, una bella
differenza".