Pubblicato il 22/02/2022
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa
La condivisione di un contenuto attraverso un like ne consente la diffusione.
Introduzione.
In una realtà
segnata da una costante evoluzione tecnologica, i social, oltre ad essere un
potente mezzo di condivisione, sono spesso teatro di condotte penalmente
rilevanti.
La spasmodica
attività di condividere o di mettere like ad alcuni post o fotografie
pubblicate sui social network è troppo spesso governata da un’eccessiva
superficialità.
Tali condotte,
infatti, possono talvolta assumere la valenza di gravi indizi di reato, come
nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte in materia di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di
discriminazione razziale etnica e religiosa (art. 604 – bis c.p.).
Il
reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione
razziale etnica e religiosa ex art. 604-bis c.p..
Tale articolo, inserito
nel codice penale italiano in virtù del D.Lgs. del 1 marzo 2018 n. 21, è
collocato nella neo introdotta sezione I bis dedicata ai delitti
contro l’eguaglianza.
In particolare,
l’art. 604-bis c.p. statuisce quanto segue: “salvo che il fatto costituisca
più grave reato, è punito:
a) con la
reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi
propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero
istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi;
b) con la
reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a
commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi.
È vietata
ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi
l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici,
nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni,
movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il
solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei
mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni,
associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione
da uno a sei anni.
Si applica
la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero
l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di
diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla
minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di
genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti
dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.
La ratio
della norma è rappresentata dall’esigenza di tutela contro azioni
discriminatorie fondate sulla razza, l’origine etnica o la religione di ciascun
individuo.
Per condotte discriminatorie
s’intende ogni azione volta alla distinzione, esclusione, restrizione o
preferenza basata sulla razza, colore, ascendenza o origine etnica, che abbia
lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il
godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in
ogni altro settore della vita pubblica.
Le condotte
sanzionate dall’articolo in commento sono quelle di propaganda e istigazione.
Con il termine
propaganda si intende un’azione rivolta ad influire sulla psicologia altrui e
sull’altrui comportamento, la cui diffusione sia idonea a raccogliere consensi
intorno all’idea espressa e divulgata.
In altre parole,
la nozione di propaganda contiene in sé da un lato, l’elemento della
diffusività, dall’altro, quello dell’invito, rivolto a terzi, ad aderire a loro
volta a determinate idee.
L’istigazione
invece, presuppone un’attività diretta a convincere terzi e a porre in essere
condotte violente e discriminatorie.
L’ultimo comma
dell’art. 604 bis c.p. sanziona la propaganda, l’istigazione e
l’incitamento fondati, in tutto in parte, sulla negazione, minimizzazione in
modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini
contro l'umanità e dei crimini di guerra, prevedendo una cornice edittale ben
più aspra rispetto ai commi precedenti.
Affinché sia
attribuita rilevanza penale alle condotte commesse deve derivare un concreto pericolo
di diffusione (ad esempio attraverso libri, periodici, giornali, prescindendo
sia dal contesto in cui tali idee vengono collocate, sia dall’adesione o non
adesione del soggetto attivo a dette idee).
La
Sentenza n. 4534 del 06/12/2021 della Suprema Corte.
Con ordinanza del
25 giugno 2021 il Tribunale di Roma ha confermato quella con cui il GIP aveva
applicato all’indagato la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria in ordine ai reati di cui agli artt. 604-bis e 604-ter c.p..
In particolare,
al soggetto agente veniva contestata la creazione di una comunità virtuale
internet, caratterizzata da una vocazione ideologica di estrema destra
neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l'incitamento alla discriminazione
per motivi razziali, etnici e religiosi, ma anche la commissione di plurimi
delitti di propaganda di idee on line fondate sull'antisemitismo, il
negazionismo, l'affermazione della superiorità della razza bianca nonché
incitamenti alla violenza per le medesime ragioni.
Inoltre,
l’indagato si era posto ripetutamente in contatto con le piattaforme social
della comunità virtuale, attraverso l'uso di account a lui riconducibili,
consentendo, con l'inserimento dei like, la maggior diffusione di post
e dei correlati commenti dal contenuto negazionista ed antisemita.
La pronuncia in
oggetto è stata oggetto di ricorso in Cassazione.
I Giudici di
legittimità, valorizzando la capacità diffusiva dei social network, tra cui
Facebook, hanno precisato che i messaggi pubblicati e, di conseguenza, resi
visibili a chiunque, di per sé già potenzialmente idonei a raggiungere un
numero indeterminato di persone, diventano ancor più virali in relazione alla
maggiore interazione con le pagine interessate da parte degli utenti.
Invero la Corte
ha precisato che “la funzionalità "newsfeed" ossia il continuo
aggiornamento delle notizie e delle attività sviluppate dai contatti di ogni
singolo utente è, infatti, condizionata dal maggior numero di interazioni che
riceve ogni singolo messaggio. Sono le interazioni che consentono la visibilità
del messaggio ad un numero maggiore di utenti i quali, a loro volta, hanno la
possibilità di rilanciarne il contenuto. L'algoritmo scelto dal social network
per regolare tale sistema assegna, infatti, un valore maggiore ai post che
ricevono più commenti o che sono contrassegnati dal "mi piace" o
"like"”. (Cass. pen.. sez. I, n. 4534 del 06/12/2021).
Conclusioni.
Il reato di cui
all’art. 604-bis c.p., di recente introduzione, mira a contrastare il fenomeno
di istigazione e propaganda a delinquere per motivi di discriminazione
razziale, etnica e religiosa, commesse soprattutto, ai giorni nostri,
attraverso l’uso dei social network.
La Corte di
Cassazione, ha attribuito un valore probatorio all’attività di ricondivisione
di post e, in generale, di interazione
attraverso l’apposizione di “mi piace”, pur non considerandola, di per sé, requisito
sufficiente ai fini dell’applicazione di una misura cautelare personale.
E’, infatti,
necessario che sussista una pluralità di gravi indizi di colpevolezza (art. 272
c.p.p. e ss), che solo unitamente considerati, possono giustificare una
limitazione della libertà personale; pertanto, nel caso di apposizione di like
o ricondivisione di post è essenziale valutare tale condotta alla luce
delle altre evidenze probatorie emerse.