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Pubblicato il 25/01/2022

La recente pronuncia della Corte di Cassazione sugli atti persecutori posti in essere indirettamente sulla Persona Offesa.

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Atti persecutori

Il reato di atti persecutori si concretizza anche in mancanza di un contatto diretto tra l'agente e la P.O.

La recente pronuncia della Corte di Cassazione sugli atti persecutori posti in essere indirettamente sulla Persona Offesa.

Introduzione.

In una realtà segnata da una costante evoluzione tecnologica, i social, oltre ad essere un potente mezzo di condivisione, sono spesso teatro di condotte penalmente rilevanti.

A mero titolo esemplificativo, il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. è spesso consumato attraverso la pubblicazione di commenti o frasi sui social network, lesivi dell’altrui reputazione, così come la creazione di falsi profili comporta una responsabilità penale ai sensi dell’art. 494 c.p. (sostituzione di persona).

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha ampliato le ipotesi di reato configurabili, considerando l’uso dei social come mezzo idoneo per la realizzazione di reati che generalmente richiedono un contatto diretto tra l’agente e la Persona Offesa.

Tra questi vi è senz’altro la fattispecie dello stalking, prevista e punita dall’art. 612 bis c.p..

Gli atti persecutori.

L’art. 612 bis c.p. punisce con la reclusione da 1 a sei anni e sei mesi chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Nello specifico, la fattispecie sopra indicata si caratterizza da una condotta tipica costituita dalla reiterazione di minacce o molestie per opera del soggetto agente; tuttavia, affinché il reato si perfezioni è necessario che tali condotte provochino un perdurate e grave stato di ansia o di paura della P.O. oppure cagionino un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un proprio affetto o ancora costringano la vittima a modificare in modo sostanziale le proprie abitudini di vita.

Giova precisare come sia sufficiente, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, che si verifichi anche solo uno degli effetti sopracitati.

Il comma 2 dell’art. 612 bis c.p., specifica che la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato e/o divorziato, o da persona che è o è stata legata alla P.O. da relazione affettiva o, ancora, se il fatto è commesso attraverso l’utilizzo di strumenti informatici o telematici.

Ed ancora, il comma 3 della medesima norma prevede un aumento di pena qualora il fatto sia commesso a danno di un minore, di donna in stato di gravidanza, persona con disabilità di cui all’art. 3 della L. 104/1992 o se commesso con armi o da persona travisata.

Gli atti persecutori, così come disciplinati dal comma 1 e 2, sono punibili a querela della P.O., mentre è procedibile ex ufficio solo se il fatto è commesso nei confronti del minore o di persona con disabilità o se il fatto è connesso con altro delitto procedibile d’ufficio.

Oggi la Cassazione ha ampliato i confini di applicabilità dell’art. 612 bis c.p., ricomprendendo anche condotte arrecate non direttamente alla persona offesa, bensì attuate sostituendosi alla stessa tramite profili social e account internet riconducibili alla vittima.

Il fatto: la sentenza n. 323 del 10/01/2022.

La vicenda oggetto della recente pronuncia n. 323/2022 della Corte di Cassazione (sez. V) è relativa ad un soggetto che, amico della P.O sin dalla tenera età, aveva creato falsi profili Facebook ed account internet a nome della stessa così sostituendosi alla sua persona. 

Attraverso tali social network l’imputato si proponeva sessualmente in sua vece con accanimento morboso e utilizzava notizie sulle abitudini quotidiane della P.O., diffamandone in tal modo l’onorabilità e facendo sì che ella venisse contattata da sconosciuti, i quali pretendevano che lei si comportasse così come descritto sui social.

Sul punto, i Giudici di legittimità hanno affermato  che “integrano il delitto di atti persecutori le condotte di reiterate molestie, anche se arrecate non direttamente alla persona offesa, attuate sostituendosi alla vittima tramite profili social e account internet falsamente a lei riconducibili, mediante i quali l'agente faccia credere a terzi sconosciuti che costei sia disponibile ad approcci sessuali, tanto da far sì che costoro la avvicinino ripetutamente nei luoghi da lei frequentati, allo scopo di realizzare aspettative di tal genere, ove l'autore delle condotte agisca nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Ovvero, secondo un'altra prospettiva, l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa e anche di tipo subdolo, quali la sostituzione di persona volta a far credere che la vittima sia disponibile ad offerte sessuali presso un'indiscriminata platea di soggetti contattati via internet con falsi account o profili social” (Cass. pen., sez. V, n. 323 del 10/01/2022).

In altri termini, integrano il reato di atti persecutori tutte quelle condotte reiterate e moleste che, seppur non direttamente proiettate sulla sfera personale della vittima, producano in concreto un effetto complessivamente persecutorio, sfociato in “stati d'ansia e timore gravi nella persona offesa, al centro di una campagna intrusiva ed abusiva della sua identità” (Cass. pen., sez. V, n. 323 del 10/01/2022).  

Conclusioni.

L’art. 612 bis c.p. prevede una stringente disciplina in materia di atti persecutori la cui applicazione è solo apparentemente limitata alle mere condotte direttamente poste in essere dall’agente in danno della Persona Offesa.

La Corte di Cassazione ha chiarito come tale norma esplichi i suoi effetti anche nel caso in cui le condotte reiterate e moleste siano solo indirettamente proiettate nei confronti della vittima, purché le stesse abbiano generato un effetto complessivamente persecutorio nella sua sfera personale.    

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