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Pubblicato il 28/12/2021

La sottrazione violenta del telefono posta in essere dal partner nei confronti della compagna: si può configurare l'ingiusto profitto del reato di rapina?

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Riforma del processo penale

Una particolare ipotesi di rapina impropria: quando ci si si impossessa del telefono cellulare della propria compagna. 

La sottrazione violenta del telefono posta in essere dal partner nei confronti della compagna: si può configurare l'ingiusto profitto del reato di rapina?

Introduzione.

In data 10 dicembre 2021 la Corte di Cassazione, seconda sezione, con la sentenza n. 45557/2021 ha confermato il principio giurisprudenziale già consolidato alla luce del quale nel delitto di rapina “l’ingiusto profitto non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale” (ex multis Cass. pen., sez. II, n. 23177 del 16 aprile 2019) e definito in modo netto i confini del reato di cui all’art. 628 c.p..

Il rapporto tra rapina e furto con strappo.

Prima di analizzare il contenuto del sopra citato provvedimento, giova in questa sede meglio definire e distinguere le due fattispecie di reato che entrano in gioco in casi similari, ossia il furto con strappo e la rapina.

L’art. 624 bis comma 2 c.p., disciplina il c.d. furto con strappo, punendo la condotta di chi “si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona”.

Tale fattispecie delittuosa si sostanzia in un atto violento esercitato su di una res della quale il soggetto agente si impossessa, strappandola dalla persona che la detiene. Rispetto a tale figura criminosa la violenza posta in essere dal soggetto agente deve essere rivolta in via immediata verso la cosa (ad es. sulla borsa che viene strappata di mano), sebbene poi, indirettamente e quale riflesso involontario possa derivarne come conseguenza un pregiudizio alla vittima (ad esempio nell’ipotesi in cui, in seguito allo scippo, la stessa cada a terra).

L’art. 628 c.p., invece, disciplina il più grave reato di rapina; nello specifico, attraverso tale norma viene punita la condotta di chi “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto(1), mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità”.

Tale disposizione prevede, in particolare, due diverse ipotesi criminose autonome indicate come rapina propria e impropria (rispettivamente, al 1° e al 2° comma), caratterizzate entrambe dall’uso della violenza che rappresenta, nella prima, il mezzo per entrare in possesso della cosa e, nella seconda, per assicurare il possesso o procurare l’impunità.

Nel reato di rapina l’elemento distintivo rispetto al furto con strappo è rappresentato dal diverso bene giuridico aggredito: con specifico riguardo all’art. 628 c.p. la violenza perpetrata dal soggetto agente si realizza direttamente nei confronti della persona offesa e, qualora la cosa sia particolarmente aderente al corpo del possessore, la violenza si estende necessariamente anche alla vittima, dal momento che l’agente dovrà vincere la resistenza istintiva di quest’ultima alla sottrazione.

La sentenza n. 45557/2021 della Corte di Cassazione: il concetto di ingiusto profitto.

La vicenda processuale aveva visto confermata in appello la condanna inflitta in primo grado ad un uomo per i reati di rapina impropria, lesioni aggravate e violenza privata tutti commessi ai danni della propria compagna, presumibilmente posti in essere per assicurarsi e mantenere il possesso del telefono cellulare della donna.

Nello specifico, nel caso de quo, la Suprema Corte si è interrogata sul concetto di “ingiusto profitto”, elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 628 c.p..

La difesa ha sostenuto la mancata configurabilità del reato di rapina facendo leva sull’assenza del perseguimento di un ingiusto profitto, laddove debba ritenersi come tale il mero arricchimento patrimoniale dell’agente.

I giudici di legittimità hanno ritenuto manifestamente infondato il ricorso e, conformandosi a costante e risalente giurisprudenza, hanno chiarito che “nel delitto di rapina, l’ingiusto profitto non concretarsi in un’utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l’agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o minaccia della cosa mobile altrui” (Cass. pen., sez. II, n. 23177 del 16 aprile 2019).

Conclusioni.

Con la sentenza n. 45557/2021, la Corte di Cassazione, nel solco di una granitica giurisprudenza, ha chiarito espressamente, senza dar adito ad ulteriori interpretazioni, la natura dell’ingiusto profitto, quale requisito essenziale ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 628 c.p.; in particolare, dovendosi intendere anche qualunque vantaggio di natura morale ovvero sentimentale che il soggetto attivo intenda perseguire a mezzo di violenza o minaccia.

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