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Pubblicato il 12/11/2021

Riforma Cartabia: l'improcedibilità del giudizio penale e la prosecuzione dell'azione civile

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Riforma del processo penale

Riforma Cartabia: la prosecuzione dell'azione civile dopo la dichiarazione di improcedibilità. Si alleggerisce il Giudice penale per gravare su quello civile?

Riforma Cartabia: l'improcedibilità del giudizio penale e la prosecuzione dell'azione civile

Introduzione.

Con l’intento di perseguire gli obbiettivi di maggior efficienza e celerità della macchina processuale, la Riforma Cartabia, attraverso l’art. 2 lett. B) della l. n. 134 del 2021 ha modificato sensibilmente la disciplina contenuta nell’art. 578 c.p.p., armonizzando così tale disposizione con il nuovo quadro normativo previsto in tema di improcedibilità.

Partendo con ordine, il sopra citato art. 578 c.p.p., rubricato “decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione”, statuisce che “quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

L’art. 2 lett. B) della l. n. 134 del 2021 ha aggiunto all’art. 578 c.p.p. il comma 1-bis che prevede che “quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento del danno cagionato dal reato, a favore della parte civile, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis c.p.p., rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado d’appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale”.

L’improcedibilità dell’azione penale nei giudizi di impugnazione.

Prima di esaminare ed approfondire le modifiche introdotte dall’art. 2 lett. B) della l. n. 134 del 2021 in materia di prosecuzione dell’azione civile a seguito di una pronuncia di improcedibilità nel corso del giudizio di impugnazione, occorre fare dei brevi cenni sull’istituto dell’improcedibilità (già oggetto di un precedente articolo dal titolo “il punto sulla prescrizione nella riforma del processo penale della Ministra Cartabia”).

Attraverso l’abolizione dell’art. 159 comma 2 c.p. e l’introduzione del neo art. 161 bis c.p. rubricato “Cessazione del corso della prescrizione”, la riforma Cartabia ha stabilito che la prescrizione si blocchi con la sentenza di primo grado, sia che si tratti di una pronuncia assolutoria che di condanna, fatta eccezione per il decreto penale di condanna che non produrrà il medesimo effetto.

Di conseguenza, l’assenza di prescrizione nel corso dei giudizi di impugnazione è stata compensata con l’introduzione del neo art. 344 bis c.p.p. con il quale viene introdotto l’istituto dell’improcedibilità.  

Nello specifico, la mancata definizione del giudizio di appello nel termine di due anni  e del giudizio in Cassazione nel termine di 1 anno, rappresentano causa di improcedibilità dell’azione penale, con conseguente pronuncia di non doversi procedere.

I suddetti termini decorrono a partire dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della sentenza, individuando, così, un lasso di tempo che va dai tre mesi, nel caso di motivazione contestuale, ai nove mesi, nel caso di deposito della motivazione in novanta giorni.

La prosecuzione dell’azione civile a seguito di un provvedimento di improcedibilità emesso nel corso del giudizio d’appello.

Con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 578 c.p.p., la Riforma ha previsto che le eventuali azioni civili esercitate nel corso del procedimento penale debbano essere rinviate al giudice civile competente per valore in grado di appello, qualora, nel corso dell’appello penale, i Giudici si siano pronunciati con un provvedimento di improcedibilità dell’azione penale.

La scelta fatta dal Legislatore appare ben chiara: l’improcedibilità, atteggiandosi come una causa impeditiva della prosecuzione del giudizio, esclude che il processo penale possa continuare anche, e soprattutto, con riferimento all’azione civile; alla parte civile resta, come unica forma di tutela riconosciuta, la prosecuzione dell’azione risarcitoria avanti il giudice civile che deciderà alla luce delle prove che sono state acquisite nel corso del procedimento penale.

E’ pertanto evidente come, secondo questa nuova formulazione dell’art. 578 c.p.p., la parte civile risulti notevolmente svantaggiata e sono altrettanto manifeste tutte le problematiche sottese a questa scelta legislativa: in primo luogo non vengono menzionati i parametri di giudizio di riferimento cui dovrà,  o dovrebbe, attenersi il giudice civile nella valutazione delle prove acquisite nel procedimento penale; in secondo luogo, il Legislatore ha lasciato immutato il comma 1 dell’art. 578 c.p.p., il quale prevede che, in caso di prescrizione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione siano chiamati a pronunciarsi sui soli effetti civili, nonostante l’abolizione della prescrizione nei giudizi di impugnazione renda tale previsione inapplicabile.

Non è poi da sottovalutare il rischio di incostituzionalità, già ravvisato da parte della dottrina, dell’art. 578, comma 1-bis c.p.p., laddove non vi è ragione di impedire al giudice d’appello o alla Corte di cassazione di pronunciarsi sui soli effetti civili del procedimento considerando sia l’autonomia delle due azioni, penale e civile, sia il fatto che la prosecuzione dell’azione risarcitoria avanti il giudice civile determina, in concreto, un notevole pregiudizio per la parte civile a fronte di una inevitabile dilatazione dei tempi processuali.

La prosecuzione dell’azione civile a seguito di un provvedimento di improcedibilità emesso nel corso del giudizio di legittimità.

Si è rivelata parimenti problematica la disciplina concernente il giudizio avanti la Corte di cassazione: il neo comma 1-bis dell’art. 578 c.p.p. prevede che non solo il giudice d’appello, ma anche la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l’azione penale debba rinviare per la prosecuzione dell’azione risarcitoria “al giudice civile competente per valore in grado d’appello”.

Perciò, attenendosi al dato letterale, sembrerebbe che anche in sede di giudizio di legittimità, una volta accertata e dichiarata l’improcedibilità per decorso dei termini, il giudizio, per ciò che concerne gli effetti civili, dovrebbe essere rinviato al giudice civile competente per l’appello, comportando una regressione del processo.

Sarebbe stato più opportuno prevedere che, qualora l’improcedibilità venga dichiarata nel corso del giudizio di legittimità, l’azione civile possa comunque essere esercitata dinnanzi il giudice civile competente per il medesimo grado di impugnazione nel quale è stata dichiarata l’improcedibilità, fatta salva la possibilità di rinviare, nel caso di giudizio di legittimità, alla sezione civile competente della Corte di cassazione, pur considerando le evidenti difficoltà legate alla traslazione dei giudizi di legittimità dalla sede penale a quella civile.  

Ciò detto, stante la lettura della norma, l’improcedibilità sopravenuta nel corso del giudizio di legittimità comporterebbe, per la parte civile, la regressione del procedimento in fase di appello, dilatando notevolmente i tempi del processo.

Conclusioni.

L’art. 2, lett. b) della l. n. 134/2021 ha introdotto, attraverso il comma 1-bis, importanti modifiche all’art. 578 c.p.p. prevedendo che l’azione risarcitoria esercitata nel corso di un procedimento penale, a fronte di una pronuncia di improcedibilità nel corso di un giudizio di impugnazione, dovrà essere rinviata per la sua prosecuzione avanti il giudice civile competente per valore in grado d’appello.

Questa scelta del Legislatore cela, infatti, un’evidente criticità: l’idea che il processo penale possa proseguire per i soli fini civilistici si scontra necessariamente con l’esigenza di economia processuale, quantomeno sul versante civilistico, poiché rinviare la trattazione dell’azione risarcitoria avanti il giudice civile competente comporterà inevitabilmente una minor celerità nella definizione dell’azione civile.

La conseguenza è chiara: la traslazione della domanda risarcitoria avanti al giudice civile appesantirà la giurisdizione civile, alleggerendo, di contro, la giurisdizione penale e ottenendo così, nell’ottica complessiva dell’efficienza della giurisdizione, un risultato pressoché neutro.  

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la disciplina così come modificata dalla Riforma Cartabia sembra assicurare solo apparentemente maggior efficienza e celerità alla macchina processuale penale restituendo, in caso di pronuncia di improcedibilità nei giudizi di impugnazione, la decisione in merito all’azione risarcitoria alla sua sede naturale.

Non resta che attendere le prime applicazioni pratiche della Riforma, nella speranza che la ricetta proposta dalla Ministra Cartabia si riveli vincente.

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