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Pubblicato il 22/09/2021

Quando la coltivazione di marijuana destinata ad uso personale è penalmente sanzionabile? Commento dell'Avv. Montesano e della Dott.ssa Pugliese

Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Reati in materia di stupefacenti

La rilevanza penale della coltivazione domestica di marijuana, quando e come. 

Quando la coltivazione di marijuana destinata ad uso personale è penalmente sanzionabile? Commento dell'Avv. Montesano e della Dott.ssa Pugliese

Introduzione.

Recentemente la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di stupefacenti individuando degli specifici requisiti che permettono di individuare in quali casi la coltivazione di piante di marijuana destinata ad un uso personale assuma le vesti di un illecito amministrativo e quando, il medesimo fatto, vada considerato  a tutti gli effetti una fattispecie di reato.   

La disciplina vigente: il DPR 309/1990.

Prima di chiarire la posizione dei Giudici di legittimità in materia di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti, occorre un breve accenno alle norme che regolano la fattispecie.

L’art. 73 del DPR 309/1990 punisce con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da € 26.000,00 a € 260.000,00 chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 coltiva sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I dell’art. 14.

Il comma 3 del medesimo articolo assoggetta al medesimo trattamento sanzionatorio “chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle previste nel decreto di autorizzazione”.

Il comma 4 dell’art. 73, invece, prevede che “quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3 bis della lettera e) del comma 1dell’art. 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’art. 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà”.

La materia oggetto del presente commento ci impone di menzionare, altresì, l’art. 75 del DPR. 309/1990 rubricato “Condotte integranti illeciti amministrativi”, che sanziona con una o più delle sanzioni amministrative individuate dal comma 1 “chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta , acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I  e III previste dall’art. 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo”.

Ciò che appare evidente da questa breve disamina delle due norme sopracitate è che la coltivazione di piante volta all’estrazione di sostanze stupefacenti è esclusivamente sanzionata dall’art. 73 comma 1, prevedendo per tale condotta un quadro sanzionatorio piuttosto aspro (la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da € 26.000,00 a € 260.000,00).

L’attività di coltivazione, invece, non è ricompresa nell’alveo di condotte, qualificate come illeciti amministrativi in presenza di uso personale, punite dall’art. 75.

La conseguenza derivante dalla mancata indicazione della condotta della coltivazione di piante dall’ambito applicativo dell’art. 75, appare chiara ed evidente: la mera coltivazione di piante dalle quali sarebbe possibile ricavare una certa e non ben definita quantità di sostanza psicotropa o stupefacente, porta a considerare tale ipotesi delittuosa come un reato di pericolo presunto, ove, per tutelare il bene giuridico della salute pubblica, è necessario che la punibilità venga anticipata ad un momento precedente rispetto a quello dell’effettiva lesione del bene stesso.

Alla luce di quanto appena esposto, affinché la condotta appena descritta integri la fattispecie di reato di cui al comma 1 dell’art. 73 del DPR 309/1990, è sufficiente che la pianta coltivata sia idonea a produrre della sostanza stupefacente o psicotropa, capace di mettere a repentaglio il bene giuridico tutelato, a nulla rilevando l’effettiva quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza.

Di conseguenza, la fattispecie di cui all’art. 73 comma 1 non risulta configurata nel caso in cui, alla luce delle tecniche di coltivazione utilizzate e della scarsissima quantità di piante presenti dalle quali poter ricavare un limitato quantitativo di sostanza stupefacente o psicotropa, si possa oggettivamente desumere la destinazione all’uso personale del prodotto, poiché quantitativamente insufficiente per poter essere introdotto nel mercato illegale.

Il caso.  

Con sentenza n. 33797/2021 la Corte di Cassazione ha affermato un importante principio in materia di coltivazione di piante idonee all’estrazione di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Impugnando una pronuncia della Corte d’Appello di Napoli , la difesa aveva sostenuto l’erronea affermazione di responsabilità basandosi sull’esiguo numero di piantine di marijuana (20) ritrovate nell’abitazione dell’imputato dal quale si poteva facilmente desumere l’uso personale delle sostanze stupefacenti prodotte, come confermato dall’imputato stesso.

Già nel 2020 le SS.UU. avevano assunto una ferma posizione in materia, affermando il seguente principio di diritto “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

A distanza di poco più di un anno, la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento, chiarendo che “se dal punto di vista oggettivo, il reato di coltivazione è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico presente in natura e la sua attitudine a giungere a maturazione, la circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l’intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale deve essere ritenuta da sola insufficiente ad escluderne la rispondenza al tipo penalmente sanzionato, perché (…) la stessa deve concretamente manifestare un nesso di immediatezza oggettiva con l’uso personale”.

Perciò, in altri termini, affinché il reato di coltivazione sia escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 73 comma 1 DPR 309/1990 a nulla rileva la mera dichiarazione di uso personale, essendo invece necessario dimostrare, da un punto di vista meramente oggettivo, che il tipo di coltivazione, per lo scarso numero di piante e le rudimentali tecniche di coltivazione adottate, consenta di verificare ed affermare nell’immediatezza che la stessa sia destinata in via esclusiva ad un uso personale, non essendo in grado di produrre una quantità di sostanza stupefacente o psicotropa tale da poter minare la salute pubblica.     

Conclusioni.  

La coltivazione di piante dalle quali sia possibile ricavare sostanze psicotrope o stupefacenti trova disciplina nell’art. 73 comma 1 del DPR 309/1990 mentre l’art. 75 si riferisce all’uso esclusivamente personale della sostanza.

La struttura delle due norme sopracitate ha reso necessario un intervento della Suprema Corte, affinché venissero ricondotte ad una specifica fattispecie tutte quelle ipotesi ibride che, in parte, descrivono un comportamento sanzionato dall’art. 73 comma 1, e, in parte, vengono mitigate dalla dichiarazione di uso personale delle sostanze ricavate, richiamata, invece, dall’art. 75 del DPR 309/1990.

La Corte di Cassazione, confermando un proprio orientamento del 2020, ha affermato che l’attività di coltivazione di piante di marijuana non è penalmente sanzionata, e perciò non va ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 73 comma 1 del DPR. 309/1990, qualora, alla luce del numero esiguo di piante coltivate e delle modalità rudimentali di coltivazione poste in essere, si ritenga che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa ricavabile dalla coltivazione sia oggettivamente esigua, a tal punto da risultare manifesta la destinazione ad un uso personale della stessa, non essendo in grado di produrre, nemmeno astrattamente, una sufficiente quantità di sostanza stupefacente o psicotropa che sia idonea a poter essere introdotta nel mercato illegale.

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