Pubblicato il 14/07/2021
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Minori e pedopornografia domestica
Pedopornografia domestica: se e quando è reato?
Con
ricorso proposto avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva
confermato la condanna inflitta in primo grado all’imputato per il reato di cui
all’art. 600- ter, comma 1 n. 1 c.p.,
la Corte di Cassazione si è ritrovata ad affrontare una tematica estremamente
delicata, ma, al tempo stesso, molto attuale, rappresentata dalla
pedopornografia domestica o dal c.d. sexting
primario.
La
vicenda che è stata esaminata dai Giudici di legittimità, solo apparentemente
di semplice soluzione, cela moltissimi aspetti problematici che rendono questo
caso piuttosto complesso: l’imputato è stato condannato, sia in primo che in
secondo grado per aver fotografato e filmato una quindicenne, con la quale
aveva instaurato una relazione intima, nel compimento di atti sessuali e per
aver diffuso o comunque divulgato il materiale raccolto in rete, rendendolo
accessibile su Facebook.
La difesa, nel proprio ricorso, ha
lamentato l’erronea applicazione dell’art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p. da parte della Corte d’Appello che aveva ritenuto irrilevante il consenso
prestato dalla minore alla produzione di fotografie/video realizzati
nell’ambito dell’attività sessuale tra la giovane e l’imputato.
Occorre,
seppur brevemente, ripercorrere i diversi orientamenti assunti dalla
giurisprudenza in materia di Pornografia minorile.
Nel
2000, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha attribuito al reato di cui
all’art. 600-ter c.p. la qualifica di
reato di pericolo concreto,
configurabile solo nel caso in cui vi fosse un effettivo pericolo, valutato dal
Giudice caso per caso, di diffusione del materiale pedopornografico prodotto,
affermando, altresì, che fosse escluso dall’ambito di applicazione della norma
in esame il caso in cui le fotografie/video fossero stati realizzati per
ragioni affettive o libidinose, senza che vi fosse alcuna intenzione e rischio
che tale materiale potesse essere diffuso a terzi.
Dopo un silenzio durato ben
diciotto anni, la Corte di Cassazione, sempre a SS.UU., è tornata ad occuparsi
del delicatissimo tema della pornografia minorile, assumendo una diversa
posizione in materia.
I Giudici di legittimità hanno ritenuto
che non fosse più necessario verificare ed accertare il pericolo concreto di
diffusione del materiale pedopornografico, stante l’avvento di nuove tecnologie
e dei social network che rendono sempre potenzialmente concreto il rischio di
diffusione di materiale di questo tipo, riqualificando l’art. 600-ter c.p. in una fattispecie di reato di danno (Cass. pen., SS.UU., del
31.05.2018, n. 51815).
In
occasione della pronuncia del 2018, la Suprema Corte ha sollevato dei nuovi
interrogativi volti a valutare la rilevanza penale della pedopornografia domestica, ossia la realizzazione di materiale
pedopornografico, nel quale sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età
del consenso sessuale, prodotto e posseduto con il consenso dei minori stessi e
destinato ad utilizzo meramente privato da parte delle persone direttamente
coinvolte.
Se
in passato si riteneva che l’ipotesi di pedopornografia domestica poteva ricadere
nella più mite fattispecie di cui all’art. 600-quater c.p., oggi, seguendo il percorso tracciato dalle SS.UU. del
2018, tale condotta potrebbe risultare penalmente irrilevante, poiché sarebbe
l’utilizzazione del minore a circoscrivere l’area del penalmente rilevante, in
quanto “non sussiste l’utilizzazione del
minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale
pornografico di cui all’art. 600-ter comma 1 c.p., nel caso di realizzazione di
immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore,
che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale, nell’ambito di un rapporto
che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da
condizionamenti derivanti della posizione dell’autore, sicché le stesse siano
frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato” (Cass.
pen., SS.UU., del 31.05.2018, n.51815).
Tale
pronuncia, se da un lato sembra legittimare il c.d. sexting primario,
rappresentato dall’invio di immagini e/o video autoprodotti dagli stessi minori
che abbiano raggiunto l’età della libertà sessuale, dall’altro lato sembra non
considerare le possibili conseguenze che potrebbero ragionevolmente realizzarsi
qualora tale materiale fosse considerato lecito, rendendo ben poco agevole la
repressione penale della cessione o divulgazione delle fotografie/video
pedopornografici a soggetti terzi (c.d. sexting
secondario).
Inoltre,
nella pronuncia del 2018, è stato tralasciato un aspetto per nulla secondario
in materia, la cui valutazione, in assenza di espresse disposizioni, è stata
demandata alla discrezionalità del Giudice: quando si affronta il tema della
pornografia minorile, ovvero della “sottocategoria” della pedopornografia
domestica, occorre sempre considerare che vi è una evidente differenza tra una
relazione interpersonale paritaria tra soggetti minorenni, in grado di
manifestare il proprio consenso all’attività sessuale, e una relazione
interpersonale tra un minore ed un adulto, la quale non necessariamente deve essere
caratterizzata da una posizione di supremazia, ma che risulta difficile
definire paritaria.
Nell’ordinanza
n. 25334 del 22.04.2021, depositata in data 1 luglio 2021, la Terza Sezione
della Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso i diversi orientamenti
esistenti in materia, ha specificato che, sebbene a livello sovranazionale la
Convenzione di Lanzarote (direttiva 2011/93/EU) consenta di escludere
l’incriminazione della condotta di produzione e possesso di materiale
pedopornografico nel caso in cui coinvolga minori che abbiano raggiunto l’età
del consenso sessuale e sia prodotto e posseduto con il consenso del minore
stesso, nonché destinato unicamente ad un utilizzo privato, trattandosi in ogni
caso di soggetti minorenni, si rende necessaria una maggiore cautela volta, da
un lato, a tutelare lo sviluppo della personalità individuale del minore e
dall’altro ad incriminare tutte quelle condotte che “rappresentando la sessualità di un minore, esprimano la possibilità del coinvolgimento del minore in attività
sessuali, in relazione alle quali o i minori non possono pestare un valido
consenso ovvero non può mai emergere l’evidenza di tale consenso dalla semplice
visione delle immagini pedopornografiche” (Cass. pen., III sez., ordinanza
n. 25334 del 22.04.2021).
A
parere della Terza Sezione, un minore, sia pur ultra quattordicenne, non è in
grado di prestare il consenso alla diffusione di materiale pedopornografico
ovvero alla sua cessione a terze persone, non essedo di fatto capace di
comprendere a pieno le conseguenze ed i rischi che deriverebbero dalla divulgazione
di detto materiale.
Pertanto,
sposando una tesi opposta rispetto alla posizione assunta dalle SS.UU. nel
2018, data la complessità e l’importanza della materia portata all’attenzione
della Corte, la Terza Sezione ha ritenuto indispensabile rimettere nuovamente alle
SS.UU. la questione, ponendo il seguente quesito: “se il reato di cui all’art. 600-ter comma 1, n. 1 c.p., risulti
escluso nell’ipotesi in cui il materiale pedo-pornografico sia prodotto, ad
esclusivo uso privato delle persone coinvolte, con il consenso di persona
minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, in relazione ad atti sessuali
compiuti nel contesto di una relazione affettiva con persona minorenne che
abbia capacità di prestare un valido consenso agli atti sessuali, ovvero con
persona maggiorenne”.
Non ci resta che
attendere le determinazioni delle Sezioni Unite.