Pubblicato il 23/12/2025
Categoria : Diritto Penale | Sottocategoria : Violenza sessuale
Con la recente pronuncia
della Corte di cassazione, Sezione III, sentenza 21 novembre 2025, n. 37942, i
Giudici hanno affrontato un delicato caso di avente ad oggetto, in species,
una violenza sessuale a danno di una minore.
La Corte, infatti, pur
non potendo ravvisare nei fatti una violenza sessuale consumata, in virtù del
principio di tassatività, ha ritenuto necessario, valutandone attentamente i presupposti,
riqualificare il capo d’imputazione, modificandolo in violenza sessuale
aggravata commessa in forma tentata. Dai comportamenti dell’imputato è emersa,
ad opinione della Corte, l’idoneità e la direzione univoca degli atti posti in
essere tali da costringere la persona offesa a subire atti sessuali.
Il fatto
Questa la ricostruzione
effettuata dalla sentenza di primo grado, emessa con rito abbreviato dal Gup
del Tribunale di Ivrea, confermata poi dalla Corte d’Appello di Torino che
condannava l’imputato per i reati di cui agli artt.81-609 bis- 609 ter,
u.c., c.p.: la madre della persona offesa invitava quest’ultima a seguire
l’imputato in garage; la persona offesa, inizialmente riluttante, in quanto aveva
fondato timore di essere aggredita sessualmente, veniva zittita dalla madre che
le imponeva di andare.
Appena arrivati in
garage, l’uomo si denudava e invitava la giovane, all’epoca dei fatti
minorenne, a masturbarlo; a fronte del rifiuto della stessa, l’imputato
iniziava a praticarsi atti di autoerotismo proferendo frasi del tipo “cosa
credi che quando lo faccio non ti penso”.
A quel punto la bambina,
ribellandosi, prima lo apostrofava con il termine “pervertito” e, approfittando
della sua momentanea disattenzione, scappava via velocemente.
Contro la sentenza di
Appello l’imputato proponeva ricorso, articolando diversi motivi.
Di particolare importanza, ai fini del tema che si sta trattando, è il secondo motivo di appello, con il quale la difesa dell’imputato contesta la sussistenza dell’ipotesi di reato di cui all’art. 609 bis, c.1, c.p., mancando del tutto il contatto corporeo tra l’imputato e la persona offesa, elemento imprescindibile della fattispecie in quanto tale da poter ricondurre la condotta del soggetto attivo al compimento di atti sessuali e del soggetto passivo dei patimenti degli stessi. Con il medesimo motivo, il ricorrente evidenziava altresì come nessuna forma di coartazione fosse stata compiuta in danno della minore.
La violenza sessuale ex art 609, bis, c.p.
Al fine di meglio
comprendere le argomentazioni espressa dalla Cassazione nella sentenza in
commento, è necessario analizzare preliminarmente la fattispecie di reato ex
art 609 bis c.p.
Si tratta di una
fattispecie di reato che si basa, principalmente, su due requisiti da
intendersi in senso oggettivo:
1.
La commissione di Atti sessuali;
2.
La costrizione a subire i suddetti atti
sessuali.
Fatta questa doverosa
premessa, con la locuzione “atti sessuali” si fa riferimento a qualsiasi atto
che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra
soggetto attivo e soggetto passivo, sia finalizzato e idoneo a porre in
pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera
sessuale. Sono, tali, tutti gli atti o comportamenti che si concretizzano in un
contatto corporeo che attinge parti rientranti nelle c.d. zone erogene (sia
della vittima che dell’agente).
È, altresì, doveroso
riportare che a seguito della riforma avvenuta in materia con la Legge 66 del
1996, è mutato il bene giuridico presidiato dal codice penale, “essendo ora il
reato in esame posto a presidio della libertà personale dell’individuo, che
deve poter compiere o ricevere atti sessuali in assoluta autonomia e nella
pienezza dei propri poteri di scelta contro ogni possibile condizionamento,
fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella
propria sfera intima” (Cass., sent. n. 37942/2025).
È necessario, quindi, che
il giudice, nel valorizzare tali condotte in termini di “atti sessuali”, tenga
conto della condotta nel suo complesso e del contesto sociale e culturale in
cui l’azione è realizzata secondo un approccio che viene definito in dottrina
come “anatomico culturale”, in grado di considerare contestualmente “gli
elementi propri dell’approccio c.d. “contenutistico ” (secondo cui la natura
sessuale dell’atto va enucleata in seno al contesto in cui l’azione si svolge )
e di quello “relazionale” (secondo cui la natura sessuale dell’atto va
enucleata in riferimento al rapporto tra le parti” (Cass., sent. n.
37942/2025).
Elemento, in definitiva,
presente in tutti i casi di “atti sessuali” è la presenza di un contatto corpore
corpori tra l’agente e la persona offesa, tanto che in applicazione di tale
principio, la giurisprudenza ha ritenuto che integri il reato di violenza
sessuale il compimento di atti di autoerotismo al cospetto della persona offesa
solo ove coinvolgente la corporeità di quest’ultima (si veda Cass. pen., sez.
III, sent. n. 37916/2022).
Venendo, poi, al secondo
e ultimo requisito, ossia la costrizione a compiere o subire atti sessuali,
quest’ultimo, al di fuori delle ipotesi classiche di costrizione in senso
stretto, secondo un costante
orientamento della Corte di Cassazione, viene, altresì, individuato sia in comportamenti
posti in essere in modo subdolo o repentino che in presenza di un fatto
compiuto con abuso di autorità che “presuppone una posizione di preminenza,
anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere
il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali” (Cass. pen., sez III,
sent. n. 2732/2020).
La sentenza della Corte di cassazione
Nell’analizzare il motivo
proposto ed oggetto della presente vicenda, la Corte specifica come sia
preliminarmente necessario verificare la sussistenza degli elementi essenziali
della fattispecie ex art 609 bis c.p., vale a dire il compimento di atti
sessuali e la costrizione.
Per quanto riguarda la
costrizione, richiama il capo d’imputazione nella parte nel quale veniva
contestato anche l’abuso di autorità e la condotta repentina, evidenziando come
lo stesso non sia stato oggetto di impugnazione.
Quanto, poi, al
compimento di atti sessuali, la Corte, dopo aver riportato la più recente e
granitica giurisprudenza in materia, si sofferma su una minoritaria corrente
giurisprudenziale che, partendo dalla considerazione che “la sfera della
sessualità non resta confinata sul piano strettamente fisico, ma coinvolge
anche la sfera psichica e emotiva, suscettibile di modularsi diversamente in
relazione ai valori del comune sentire che si consolidano nello specifico
contesto storico, culturale e sociale di riferimento” (Cass. pen. sez. III,
sent. n. 43423/2019), ha ampliato la nozione di atti sessuali “includendovi
casi in cui il corpo della vittima non viene fisicamente aggredito dall’agente,
ma nei quali il contesto dell’azione consenta di affermare che la condotta
dell’agente ha comunque inciso nella sfera di autodeterminazione sessuale della
vittima” (Cass., sent. n. 37942/2025).
In altre parole, la peculiarità
di tale orientamento è l’attenzione specifica non solo per l’eventuale
materialità dell’offesa ma anche per il vulnus più in generale che può investire
la persona offesa specialmente se minore.
Alla luce, quindi, di
tale corrente giurisprudenziale, i Giudici si sono chiesti se “in questa
progressiva opera di “dematerializzazione” della violenza sessuale, possa
ritenersi conforme al tipo legale anche la condotta caratterizzata dalla
assenza di coinvolgimento della corporeità della vittima” (Cass., sent. n.
37942/2025), considerando quindi come penalmente punibile anche la costrizione
ad assistere, anche per effetto di una condotta subdola e repentina come nel
caso in oggetto, altri praticare autoerotismo su sé stessi.
Anche la Corte
costituzionale, nella sentenza 325/2005, avvallando tale interpretazione
estensiva della norma ex art 609 bis c.p., ha affermato che la condotta
del delitto di violenza sessuale “intende distaccarsi dalla fisicità e
materialità per apprestare una più comprensiva ed estesa tutela contro
qualsiasi comportamento che costituisca una ingerenza nella piena autodeterminazione
della sfera sessuale”.
In quest’ottica, dunque,
diventa violenza sessuale “ogni forma di atto a contenuto sessuale posto in
essere dall’agente di reato in modo costrittivo o induttivo e in grado di
incidere sulla libertà sessuale della persona offesa (nonché, nel caso la
condotta abbia ad oggetto un minore, la corretta formazione della sua sfera
sessuale” (Cass., sent. n. 37942/2025).
Ciò comporta che, la
norma penale dovrà essere calibrata in ragione dell’incidenza che le condotte realizzate
hanno avuto sul bene giuridico tutelato. Tale bene, nel caso in esame, è
rappresentato dal corretto e normale sviluppo sessuale del minore che,
sicuramente, si ritiene violato ogni qual volta ci sia una costrizione ad
assistere ad atti di autoerotismo.
Alla luce, quindi, di
quanto qui esposto, la Corte, pur rilevando che allo stato dei fatti non possa
essere conforme al principio di legalità ritenere sussistente il reato di
violenza sessuale consumata, in quanto “il concetto di costringere taluno a
“subire” atti sessuali non può essere dilatato fino a ricomprendere casi, come
quello in esame, caratterizzati certamente dalla lesione al bene giuridico
tutelato, ma anche dalla completa assenza di corporeità” (Cass., sent. n.
37942/2025), ritiene doveroso e necessario riqualificare il reato in oggetto in
forma tentata, alla luce del fatto che “si è in presenza di atti sessuali in
grado di vulnerare il bene giuridico tutelato e di una condotta costrittiva, in
quanto repentina e subdola ovvero commessa con abuso di autorità” (Cass., sent.
n. 37942/2025).
La disciplina del tentativo è, infatti, applicabile “in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale” (Cass., sent. n. 37942/2025), infatti “al fine della configurabilità del tentativo di violenza sessuale, non è necessario che gli atti si siano estrinsecati in un contatto corporeo, potendo evidentemente l’idoneità a porre in essere un abuso ben prescindere da/ tale requisito” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 4674/2014).
Conclusioni
Con questa pronuncia la Suprema
Corte, riaffermando il principio di tassatività della legge penale, secondo il
quale vi deve essere piena corrispondenza tra i fatti e la fattispecie di reato
che si presuppone violata, punisce un comportamento che ha comunque costituito,
per la persona offesa, una grave violazione e intromissione della propria
libertà di autodeterminazione, declinata, nel caso in esame, nel diritto a un
sano ed equilibrato approccio del minore alla propria sfera sessuale.